venerdì 9 gennaio 2015

«Insomma, la Chiesa ha attuato o ha tradito la Costituzione conciliare?»


Proponiamo, per la nostra edificazione spirituale,  parte di uno scritto di Tito Casini, grande Cattolico dotato di spirito profetico  che ha messo a disposizione della Tradizione e della Liturgia Cattolica l'intelligenza  ricevuta dall'Altissimo Iddio.
Diversi anziani fedeli tradizionali, soprattutto italiani , si sono formati alla lettura dell'eletta prosa arguta e anticonformista dello Scrittore Toscano le cui espressioni, a tratti profetiche, sono di un'attualità sconvolgente.
Domani, 10 gennaio, lo spazio del blog sarà dedicato alla Scrittrice Cristina Campo  nell'anniversario della Sua scomparsa.


Tito Casini : "Nato a Cornacchiaia, frazione di Firenzuola, il 23 novembre 1897, da una famiglia di antiche tradizioni rurali e religiose, Tito Casini fin dalle prime classi elementari dimostrò una particolare attitudine alla letteratura.

Nella notizia biografica redatta da Nicola Lisi, in "Antologia degli scrittori cattolici", è definito "Avvocato per la laurea e per gli occhiali a stanghetta, per tutto il resto colto, intelligentissimo montanaro, esaltatore e difensore di tutto ciò che vive e si muove all'ombra dei suo campanile".

Ben presto, infatti, depose la toga di avvocato, una professione che necessitava di compromessi che mal si confacevano al suo carattere, e si unì a un gruppo di scrittori fiorentini, tra i quali Papini, Bargellini, Giuliotti e Betocchi. Insieme fondarono il "Frontespizio", la famosa rivista pubblicata a Firenze tra il 1929 e il 1940.

Il primo libro pubblicato da Casini fu "La bella stagione" (1929), una raccolta di 40 novelle tanto lodate da Giovanni Papini "per quella bella lingua che sa di Mugello e di Trecento"; l'ultimo fu il romanzo "Nel nostro piccolo paese", edito nel 1979, a coronamento di cinquant'anni di intensa attività letteraria.

E' difficile dire quali, tra i 26 libri pubblicati, siano considerati i migliori. In particolare la critica ne evidenzia quattro: "La vigilia dello sposo", "I giorni del ciliegio", "I giorni dei castagno", "Il pane sotto la neve", che costituiscono un percorso letterario-religioso definito "Le stagioni e l'eterno". Ma altrettanto interessante è l'opera "Per un'Italia migliore" (1943), dalla quale emerge un Casini antifascista fin dalla prima ora che parlando e scrivendo di Mussolini mai lo chiamò "Duce" e mai usò il calendario fascista, e "Medicina" (1947), un interessante documento storico sul passaggio dei fronte a Firenzuola. ..."

«Insomma, la Chiesa ha attuato o ha tradito la Costituzione conciliare?» . 
Se l'aspettava questa domanda,padre Annibale Bugnini(«un esecutore», come si riconobbe senza false modestie, «della volontà della Chiesa»), subito dopo quel 24 Marzo 1968 in cui l'ultimo baluardo, il Canone in latino,cadeva, determinandone la definitiva espulsione dalla liturgia,nonostante la Costituzione Conciliare avesse affermato “ nei riti latini si conservi il latino”.
Se l'aspettava, e prima infatti che noi, coi nostri cervelli ancora da lavaggiare, rispondessimo in conformità dei medesimi, ci ha risposto lui, iniziando il lavaggio: «Nessuno si preoccupi. La Costituzione liturgica è salva, splendente, vivente più che mai, nello spirito e nella lettera». Così salva, splendente e vivente da sentire subito dopo la necessità di aggiungere: «Mi riserbo di dimostrarlo e documentarlo in altra sede».
Un mese è occorso a tanto maestro per cercare e trovar la dimostrazione, ed eccola. 
Eccola in sintesi, e riconosciamo che più semplice, più persuasiva di così non poteva essere: la Costituzione liturgica non è stata tradita per la lapalissiana ragione che non esiste: non esiste - cioè - in materia di liturgia, un atto conciliare definitivo e vincolante, ma solo un vago progetto, un disegno approssimativo, uno schizzo per uso dell'impresario, con facoltà per lui di farne il conto che vuole, compreso quello di non farne alcun conto e trasformar magari in un cinema, un «piper», quello che sulla carta e nell'intenzione del committente doveva essere una chiesa. 
Ecco le sue precise parole: «La Costituzione liturgica non è un testo dommatico; è un documento operativo: la programmazione della riforma. 
Ognuno sa che un preventivo parte da dati positivi e concreti, ma, per forza di cose, deve talora basarsi su congetture e previsioni, che, all'atto pratico, non sempre si verificano». 
Esempio: «L'architetto che prepara il piano di una costruzione, traccia le grandi linee, fa assaggi, indugia in calcoli, prende misure, ma non è raro che nella fase esecutiva imprevisti o cause estranee obblighino a correggere, qua o là, il piano stabilito, o a modificare dettagli». Capoverso e conclusione: «Così è avvenuto con la Costruzione Liturgica Conciliare»; ragion per cui l'articolo «Linguae latinae usus in Ritibus latinis servetur» si può tradurre, all'atto pratico, come si è fatto: «L'uso della lingua latina nei riti latini sia abolito» e la Costituzione liturgica è salva, splendente, vivente eccetera «nello spirito e nella lettera». 
Noi sciocchi!
Noi sciocchi, noi che la credevamo una cosa seria, stabile, precettiva, una cosa - insomma - da starci e da appellarcisi contro i violatori, noi che in calce a questo (creduto) codice, lunga opera legislativa di circa tremila vescovi adunati in Concilio, avevamo letto e leggiamo, scritte in grossi caratteri, queste grosse parole: «In Nomine Sanctissimae et Individuae Trinitatis Patris et Filii et Spiritus Sancti. Decreta, quae in bac Sancta et Universali Synodo Vaticana Secunda legitime congregata modo lecta sunt, placuerunt Patribus». Capoverso: «Et Nos, Apostolica a Christo Nobis tradita protestate, illa, una cum Venerabilibus Patribus, in Spiritu Sancto approbamus, decernimus ac statuimus, et quae ita synodaliter statuta sunt ad Dei gloriam promulgari iubemus». Il che significa, fra l'altro, che in Nome della Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, il Papa ha posto il suo sigillo a una traccia, a un abbozzo, a un «documento operativo», a una semplice «programmazione» che, affidati agli esecutori, han servito loro per cacciar di chiesa il latino e accogliervi le «messe yè yè», le «messe ballate» e simili sconci. Il «canone in volgare» non è che un'applicazione, e il padre Bugnini - l'«esecutore della volontà della Chiesa» - ci ha detto che non si fermerà qui: «Chiuso il capitolo della lingua occorre rivolgere l'attenzione» (la catapulta, in altre parole) «ai riti: la Messa anzitutto».
SI DISTRUGGA,SI CONSERVI
Eppure il Concilio obbedì a chi lo aveva indetto, il Beato Papa Giovanni XXIII, «per affermare ancora una volta la continuità del Magistero Ecclesiastico, senza attenuazioni e travisamenti», e il latino, ch'egli aveva così fortemente riaffermato «lingua cattolica» e «lingua propria della Chiesa», ne uscì più forte grazie ,a un nuovo OBBLIGO che i Padri aggiunsero all'OBBLIGO di conservarlo: quello d'insegnarlo ai fedeli che non lo sapessero: «Provideatur» si provveda a che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme in lingua latina tutte le parti della Messa loro spettanti». 
Provideatur, OBBLIGO, ripeto, e generosa mancia a chi saprà indicarmi una parrocchia dove questo si faccia, un prete, di quelli che non sanno dir tre parole senza rammentar due volte il Concilio, il quale insegni al SUOI popolani la Messa in latino.
Si sa fin troppo quel che poi avvenne:l'obbligo diventò proibizione, la proibizione diventò obbligo, e il latino, foglia per foglia, come si fa per il carciofo (la volgarità dell'azione vieta di pensare alla margherita), scomparve nelle fameliche fauci dei «progressisti», che il 24 di marzo, una famosa data fascista, celebrarono la loro definitiva vittoria ingoiando fra grandi eia e alalà di giubilo l'ultimo grumolo: il Canone.
I vescovi (salvo rare quanto gloriose eccezioni) tacquero, lasciaron fare o incitarono: Properate ad manducandum!
Contemporaneamente, e logicamente si tramutavano i riti: l'altare diventava «tavola», la Messa «cena»; il prete - ministro del «popolo» - per poter voltar la faccia al «sovrano» voltava la schiena al Santissimo, e ai fedeli, nel cospetto di Dio s'inibiva l'atteggiamento del pubblicano, s'imponeva quello, «stans: in piedi», del fariseo. 
Esattamente - e scusandosi con loro per il ritardo - alla maniera dei protestanti.